Calcio

Il PM Di Martino: "combine?Per i calciatori era la normalità"

19.07.2015 15:52

E' stato colui che ha scoperchiato per la prima volta il pentolone del calcio sporco ma non sembra stupito più di tanto di un 'sistema' che sembra coinvolgere davvero tutti, o quasi. Le combine nelle gare sono sempre esistite, solo che non se ne parlava, non si indagava, soprattutto perchè non esisteva il calcioscommesse. Il dott. Roberto Di Martino è il piemme che ha svelato il marcio del pallone e sta per staccare la spina: tornerà al lavoro prima di Ferragosto, quando ci sarà da preparare la maxi udienza, con rischio processo per 114 indagati. Ecco una sua intervista alla gazzetta dello sport:

A iniziare, per clamore mediatico, dal c.t. Antonio Conte. Procuratore, si aspettava questo quando ha iniziato le indagini, nel dicembre 2010?

«No, è stata un’amara sorpresa. Siamo partiti da alcuni giocatori della Cremonese storditi dopo aver bevuto negli spogliatoi. I giornali parlarono di avvelenamento. Non pensavamo certo a una combine. E invece...».

E invece dalle intercettazioni è emerso un calcio un po’ diverso da quello immaginato da bambini e tifosi.

«È l’aspetto più brutto della vicenda: chi guarda lo sport non tollera di essere preso in giro. Anche io adesso vedendo una partita in tv sono assalito dai dubbi. Ma quell’errore, penso, è stato un caso oppure c’è dietro altro? Quando perdi la fiducia è dura tornare a essere disincantato come prima».

Lei ha interrogato tantissimi giocatori, molti rei confessi. Si rendevano conto della gravità di certi comportamenti?

«Spesso erano convinti di non aver fatto nulla di male, finire in carcere era poi l’ultima cosa a cui pensavano. C’è una mentalità sbagliata nei calciatori, forse inculcata fin dalle giovanili. Credono sia normale un accordo tra due squadre unite dallo stesso interesse in classifica. Invece è un reato. Penale e sportivo».

La filosofia «meglio due feriti che un morto» porta alle manette? «La frode sportiva si realizza se due o più soggetti si mettono d’accordo in modo concreto su un risultato. Come hanno stabilito alcune sentenze della Cassazione. Si altera la classifica, causando un danno a un terzo soggetto. Certo, se l’accordo è tacito e non si può dimostrare, sarà etichettato come un comportamento antisportivo e basta. Ma se dai pensieri si passa alle parole, allora le cose cambiano. E sono cambiate parecchio negli ultimi mesi...».

Ci spieghi.

«Beh, uno dei meriti indiretti delle indagini svolte a Cremona è aver messo in evidenza la fragilità di un reato, la frode sportiva, poco considerato dal legislatore. Non è più così: la semplice combine dall’autunno 2014 porta a condanne da 6 a 9 anni e permette agli inquirenti di usare le intercettazioni anche senza l’associazione, non facile da contestare. Gli arresti di Catanzaro e Catania hanno dimostrato quanto sia importante avere questi strumenti investigativi».

Per lei la strada è stata in salita.

«Come un Mortirolo. L’inchiesta sul calcioscommesse ha numeri enormi, impossibili per una Procura piccola come Cremona. Non abbiamo avuto nessun aiuto. Ero e sono rimasto l’unico piemme, ma ho anche altri processi. Ho seguito, ad esempio, l’appello sulla strage di piazza della Loggia a Brescia. Per non parlare del personale: da dividere coi colleghi. Insomma, si parla tanto di giustizia lenta, ma in queste condizioni essere veloci è un’utopia. Nonostante tutto, due poliziotti della Questura di Cremona sono stati premiati proprio per il lavoro svolto su Last Bet».

Secondo lei il continuo coinvolgimento di tesserati è stato vissuto con fastidio dalle istituzioni sportive?

«Può essere, di sicuro nessuno è venuto nel mio ufficio per avere informazioni dettagliate».

Sta dicendo che i vari presidenti di Coni, Figc, Leghe non l’hanno mai cercata?

«È così. Ho incontrato Abodi (Lega di B, ndr) in un convegno e letto lodi pubbliche per l’inchiesta. Non sempre, a dire il vero...».

Col procuratore Palazzi vi sentite spesso?

«Certo e nel possibile sono stato collaborativo. Tornando indietro non lo rifarei».

Non passerebbe le carte alla giustizia sportiva?

«In tempi più lunghi: se un giocatore parla da Palazzi, poi quando viene da me è legato a quelle dichiarazioni, spesso non veritiere. I giocatori vedono il processo penale distante, mentre un anno di stop può significare carriera finita. Non solo, anche le sentenze della giustizia sportiva possono influire in modo negativo».

Dopo Catania e Catanzaro c’è di nuovo un clima giustizialista, s’invocano squalifiche esemplari.

«Nel 2011 le condanne erano state dure. Poi c’è stata un’inversione di tendenza. Il motivo? Non dovete chiederlo a me».

Perché il problema combine non accenna a diminuire?

«All’inizio pensavo fosse un fenomeno limitato alla Lega Pro, sbagliavo. Si può truccare benissimo anche un match di A, negli atti ci sono esempi lampanti. I giocatori sono avvicinabili e corruttibili. Non tutti, ovvio. Ma quelli non coinvolti faticano a denunciare i compagni. L’omertà è una regola e se di mezzo c’è il club, diventa ancora più pressante. Chi parla viene isolato, come è accaduto a Simone Farina. Fino a quando la mentalità sarà questa, le combine sono sempre possibili. Il fenomeno scommesse ha solo ingigantito un problema che c’era già».

Antonio Conte si considera vittima di un’ingiustizia. Gli avvocati sono rimasti stupiti dal suo riferimento ai doveri dell’allenatore per motivare la richiesta di processo.

«Il pubblico ministero fa il pubblico miniestero: nessun pregiudizio o peggio persecuzioni. Un giudice valuterà le opposte tesi. Accuse, condanne e assoluzioni fanno parte del sistema giustizia».

Le indagini sul calcio le hanno portato in «dono» numerose minacce, compresa una busta con proiettile.

«Mi ha stupito le velocità di questi “saluti”, arrivati con l’inchiesta appena iniziata. Le dico la verità, ritengo molto più concreta la minaccia avuta in aula da un boss mafioso: mi ha promesso di uccidermi una volta uscito di galera. Per ora è ancora dentro...».

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